Concetto Temporale 22/2
2022
acrilico su tela
100×100 cm.
Concetto Temporale 22/1
“La Luce di Enrichetta” mi ha aperto una strada, un mondo. Ora sta a me percorrerla nel migliore dei modi, col massimo dell’impegno; come cerco di fare sempre.
Impegno + Studio + Concentrazione + Passione + Ambizione = Arte
Sacrificio + Solitudine + Lavoro + Gioia = Benessere
Arte + Benessere = Tutto
Arte + Benessere + Tutto = Io
Chi sono io = Ancora non lo so, lo stiamo scoprendo insieme, e questo è bellissimo!
Una cosa però voglio dire, in tutta sincerità: malgrado abbia lavorato tanto, malgrado abbia fatto di tutto nella vita per mettere insieme tutto il necessario per crearmi una vita dignitosa (studio, lavoro, impegno costante per la pittura, seppur con una parentesi non indifferente in cui mi sono dedicato ad altro di non molto diverso, serietà e sobrietà nello stile di vita, onestà che non sempre ha pagato), non mi sento mai all’altezza di quello che vorrei essere. Non ho gli strumenti per indagare e giudicare a fondo questo mio stato d’animo di perenne inadeguatezza, ma di certo questo stato d’animo è il fuoco che alimenta dentro di me, costantemente, la spinta e la determinazione di continuare a fare meglio; di non accontentarmi mai.
Non si raggiunge tutto se non ci si sacrifica, accettando anche sorella solitudine, che ti permette di concentrarti su te stesso e sul tuo lavoro; già, di sacrificarti.
L’Arte è non solo il risultato visivo di un lavoro che si vede e si tocca, un lavoro che si giustifica, ragionevolmente – concetto non opinabile -, all’interno di parametri preordinati e classificabili. L’Arte è e deve anche essere uno stile di vita, all’interno di un concetto consapevole di essere, nel senso di esistere, che deve necessariamente produrre benessere psicofisico. Poco importa il parere altrui…
Per questo ho voluto abbandonare il titolo precedente, per iniziare questa nuova avventura. Dentro “La Luce di Enrichetta” c’era una volontà vera e sincera, incommensurabile di omaggiare mia mamma, di esprimerle tutto il meglio che potevo tirar fuori per ringraziarla. Ringraziarla della sua presenza, della sua gioia che manifesta quando sta con me, della fiducia cieca che ripone in tutto e per tutto in me. Per questo ho visto in quella rappresentazione, una regina, una sovrana, una nobildonna che, vestita con estrema eleganza, avanza verso suo figlio, verso una vita nuova, avvolta dalla Luce. Una Luce, quella di Enrichetta, che ha travolto anche me: una vera illuminazione, e qui non oso andare oltre… per rispetto di chi crede seriamente che si possa arrivare fino lassù.
Ora si apre un capitolo nuovo, si fa per dire, in quanto, di nuovo nuovo c’è poco a volerla dire tutta. Il nuovo sta, se proprio proprio, nel mettere i puntini sulle “i”, come ho sempre cercato di fare peraltro. In questo caso si tratta di dare una spiegazione a questo nuovo percorso, di giustificare il titolo di questa nuova serie di lavori spiegandone, appunto, il concetto che ho inteso attribuire a questi componimenti grafico-pittorici. Ebbene, si tratta di spiegare, per quanto mi risulti possibile fare, come mettere insieme il pranzo con la cena; tanto le metafore vanno di moda e tanto le metafore mi piacciono. Del resto, chi si dice cristiano dovrebbe andare a nozze con le metafore, come dovrebbe andarci (a nozze o da qualche altra parte) quel Sandro-Alessandro, che non è un nuovo artista contemporaneo, ma un ometto qualunque, un ometto per bene, si mormorerebbe tra i banchi consumati di una vecchia chiesa, un cristianuccio seriale qualunque che però le metafore non le vuole sentire, dice lui; perché non le capisce, aggiungo io. “Lascia perdere le metafore” mi disse la sera del 23 agosto 2021 a Portoferraio, dopo la morte del padre, ex marito di mia mamma, entrambi autori, complici (tali padri, tali figli) dello spegnimento della Luce di Enrichetta.
Cari signori toscani, proprio voi, tutti voi, fiorentini ed elbani soprattutto, la Luce di Enrichetta è ritornata a splendere sul Suo volto, nei Suoi occhi, nella Sua voce; fatevene una ragione! Una Luce solo Sua, una Luce di Sua esclusiva proprietà. Una Luce che nessun Mazzei potrà più portarle via.
Che pena ho provato per il cognome dei Mazzei quando ho letto il testamento che Giovanni, una settimana dopo aver sposato mia mamma, ha scritto riferendosi solo ed esclusivamente al figlio Sandro, in cui si raccomanda di tenere alto il nome dei Mazzei. Che tristezza, che pena, che miseria allo stato puro, miseria di animo e miseria di cervello. Il 7 agosto 1982 Giovanni Mazzei sposa mia mamma, e una settimana dopo, il 14 agosto 1982, sempre questo “galantuomo”, all’insaputa di sua moglie, scrive questo testamento, chiedendo al figlio, ad uno dei due, di sicuro al cagnolino più fedele, di tenere alto l’onore del cognome Mazzei. Escludendo mia mamma da ogni riferimento testamentario, come se non esistesse; come se quel matrimonio non fosse mai stato consumato. Che schifo, che vergogna, che miseria, di nuovo: quanta pena!
Io trovo tutto questo davvero demenziale!
La povera Dossi Enrichetta, senza rendersene conto, avendo sposato quest’uomo, un Mazzei appunto, aveva decretato, a sua insaputa – mea culpa mea maxima culpa – lo spegnimento della Sua Luce.
Non vi chiedo nemmeno scusa per la divagazione, tanto era doveroso, nei confronti di mia mamma, sputare fuori anche questo rospo. Per quanto non voglia farlo, per quanto capisca che non serve a nulla, lasciatemi dire che se si nasce piccoli, piccoli si resta; intendo di cervello. Con questo sento il dovere di rimettere, almeno in parte, le cose al loro giusto posto. Anche perché, lo capirete meglio in seguito, tutto è attinente col nostro racconto, forse mai come ora, forse mai come nel caso di questi nuovi lavori. Di sicuro, mi riprometto che lascerò perdere di scavare nel passato – Storia -, è una promessa che spero di mantenere, anche se non me la sento di giurare su niente e nessuno. Chi giura, è già di suo uno spergiuro, sempre e in qualsiasi caso, per qualsiasi cosa e su qualsiasi cosa o persona si giuri: stupidaggine! La verità assoluta non esiste, o meglio, la verità assoluta esiste in quanto tale, ma esistono anche tante sfumature diverse di intenderla, di leggerla, e di raccontarla: è sempre il Tempo di declinare quando la Storia ci supporta.
Sento sempre dire che la pittura di Mauro Pavan porta dentro la sua sofferenza, tutto il suo passato di uomo che ha sofferto, tribolato, lottato per farsi spazio: il suo vissuto. E’ tutto vero! Di certo, però, l’amico editore e saggista milanese Giorgio Falossi dice anche, ne è fermamente convinto, che Mauro Pavan, in quanto artista, trova la capacità di andare oltre, di superare tutto questo e di elevarsi sopra le cose terrene, forse – questo lo dico io – per volare via da tutto, per cercare di ripararsi dentro altri misteri-misteriosi universi fatti di tutto ciò che vorremmo che fosse, e fatti allo stesso tempo di niente, perché ancora niente possiamo provare.
Il prof. V. Mancuso dice che non servono prove per credere, perché si crede in quanto credere fa bene al cuore e alla menta, a prescindere, sintetizzato brutalmente. Io, da non credente, sono perfettamente d’accordo con quanto va dicendo il Teologo. Sento, di tanto in tanto, un bisogno sfrenato e incontenibile, di ringraziare qualcuno. Sento il bisogno sincero, spontaneo, un bisogno che mi fa star bene, di ringraziare per qualcosa di bello e buono che mi è capitato senza averne avuto merito. Sento che è doveroso farlo!
La Storia ci viene incontro, la Storia ci salva, la Storia ci aiuta, ci consola, ci fortifica, ci suggerisce come affrontare nuove sfide, perché la Storia è certezza e il Tempo la consolida e la illumina; la rende scienza. Il Tempo diventa la nostra comunione, il nostro Corpus Christi.
Ebbene, la manualità del lavoro va scomparendo. Va scomparendo l’artigiano, e tra pochi anni la manodopera sarà soppiantata tutta o quasi dai robot. Più nessuno lavora il legno, più nessuno lavora la pietra e il marmo, più nessuno aggiusta cose rotte perché si fa molto prima a buttare via tutto e a ricomprare tutto di nuovo. Il senso e la percezione del bello resiste solo in certi ambienti, per certe categorie di persone, oserei dire privilegiate, e la maggior parte della gente si sta disabituando a considerare, a valutare – dare valore – a ciò che è ben fatto rispetto a ciò che è solo fatto. Il mordi e fuggi si palpa – letteralmente – anche col sesso, con la comunicazione, con i rapporti interpersonali. Vedere oggi una nonnina che ricama un centrino, una tenda, un tovaglia con l’uncinetto, desterebbe meraviglia -in senso negativo – tutti quelli che hanno meno di 60 anni. Avendone 63, pur avendo visto usare da giovane i centrini da mettere dappertutto, e non solo sopra i mobili, nemmeno io avrei mai pensato di riconsiderare questi manufatti e vederli ora sotto una nuova Luce, come fonte preziosa d’ispirazione per farne opere d’arte. Prendete in mano un centrino di media grandezza, apritelo e stendetelo per bene, mettetelo contro una fonte luminosa, sopra un fondo colorato di non importa cosa, un cielo, una parete, un corpo nudo, meglio se maschile perché piatto, o un supporto colorato, fosse anche un letto – a ridaje il letto – di foglie colorate, secche; foglie morte solo se viste con gli occhi di un Cetto La Qualunque, ma sempre vive se viste con gli occhi dell’artista. Provate a vedere e a considerare questo centrino non più solo “qualunquemente” come un oggetto da mettere là, fermo immobile per dare risalto ad un altro oggetto ancora più prezioso. Provate invece a considerare il centrino come soggetto primario e scoprirete un mondo tutto nuovo. Vi apparirà una vergine radiosa illuminata dalla Storia e dal Tempo. Intorno a quel mondo, intorno a quella “vergine” vi verrà voglia di far ruotare tanto di tutto il resto; e ce n’è tanto da farci girare intorno, da sfogliare, da considerare-creare. In questo caso il centrino perde la sua originale e primitiva struttura ornamentale, il suo originale senso statico di essere, di apparire, e inizia ad esistere perché inizia a vivere. Per forza solo bianco, un bianco puro che più bianco non si può; oppure di altro colore neutro, sul quale, in appoggio, ci deve stare per forza bene tutto. No, non è solo questo che stiamo valutando ora. Adesso, il centrino diventa altro, diventa quello che vogliamo noi, che vediamo noi, diventa un simbolo, un’idea, un concetto; un concetto che ci trasmette l’idea di un Tempo che è passato e di un Tempo che ancora deve manifestarsi. L’idea di un presente che ci sta dicendo che niente, per un creativo, per un artista, va mai dato per scontato, per concluso nel senso di finito, di morto. In arte niente muore, in arte tutto vive e, se l’arte è arte per davvero, tutto vive in eterno. Un vero artista, un artista autentico, non muore mai, vive in eterno insieme al suo lavoro. L’arte col Tempo non si trasforma, resiste e rimane così com’era e com’è stata creata. Si trasformano le persone che a loro volta trasformano, nel bene e nel male, i messaggi che l’arte ci invia, ci tramanda. L’arte non è solo ciò che vediamo e tocchiamo, questo è solo il suo involucro. L’arte è anche tutto ciò che sta dentro l’involucro, dentro la scatola, dentro il corpo. Per capire e apprezzare bene l’arte, ci vuole l’abilità di saper aprire questo involucro, bisogna saperci entrare dentro. E non venitemela a raccontare con tanti discorsi di circostanza che non valgono nulla; entrare dentro l’arte significa sporcarsi, e chi non si è sporcato, chi non puzza, non profuma, non si macchia, non s’impolvera, non suda, non piange, non gioisce, non prova meraviglia e, magari, un pizzico di sana invidia, vuol dire che non ha saputo entrarci dentro. Vuol dire che non è stato capace di dialogarci insieme, che non ha saputo mettersi in contatto con Lei. Se manca la capacità di trasportarsi dentro l’arte, di diventare tutt’uno con essa, per favore, smettetela di parlare e di occuparvi di arte; in questo caso, la state solo distruggendo, la state solo trasformando nell’ennesimo panino da take away.
Artista è colui che ha saputo vivere dando un senso specifico e molto forte al suo vissuto, contribuendo direttamente a lasciare un segno incisivo, un segno che abbia saputo solcare la sua vita e di chi con lui l’ha condivisa. Meglio se in questo solco l’artista ha saputo lasciare un seme speciale, un insegnamento – non importa la sua genesi – che abbia saputo fruttificare bene sfamando tutti, anche per il futuro. L’artista in questione non è solo colui che fa arte, che crea arte, ma è l’uomo artista di sé stesso, artista della propria vita, artista in quanto ha saputo dare, imprimere, una svolta speciale al proprio modo di essere, nel senso di stare in vita, di esistere, coinvolgendo positivamente anche la vita degli altri. In teoria tutti possono diventare degli artisti, artisti di vita, di scuola quelli più colti, e di strada quelli diversamente colti. E’ mia convinzione, da sempre che, abbinare la scuola alla strada, sia il modo migliore per dare forma ad una vera scuola e cultura di vita, compresa quella artistica. Ecco che uomo e centrino posso benissimo stare all’arte con pari dignità, l’importante è che l’arte sia sempre presente. L’uomo sta all’Arte come il centrino sta alla Storia. Il Tempo li unisce entrambi in matrimonio e li promuove ad opera d’arte. Ribadisco il concetto che si definiscono opere d’arte solo le opere d’arte, tutto il resto, casomai, che si accontenti di essere chiamato manifattura.
Il merletto, o centrino, o pizzo, o impropriamente ricamo, per parafrasare Vittorio Sgarbi, insomma quel manufatto che io sto usando, è il risultato di una operazione molto particolare, complicata, per nulla facile e veloce da fare. Almeno per questi fin qui usati, fatti a mano all’uncinetto da mia mamma. Questo intreccio eseguito con un filo di cotone, intrecciandosi per mezzo di una operazione certosina e tecnicamente fatta di precisione e molta pazienza, permette di ottenere alla fine questa meraviglia di tessuto fatto di tantissimi, lo dico in sintesi, vuoti e pieni. Questo tipo di lavorazione risale all’inizio del XV sec. – Storia – e sembra aver preso forma proprio nella mitica e affascinante Venezia.
Il Tempo e la Storia, questi gli ingredienti che hanno formato il mio presente e che mi stanno aiutando a guardare dentro al futuro. Senza questa Scuola si procede per ordine sparso, zigzagando di qua e di là, con le idee confuse. Con questa Scuola alle spalle, si procede con ordine e disciplina, avendo ben chiaro dove si vuole andare a parare; e comunque, con il Tempo e la Storia che ti supportano, il cammino è migliore, più dolce e più sicuro. Non ho detto più facile!
Mauro Pavan (Verona, Italy – 1958). Avviato all’arte fin da piccolo (i suoi primi lavori ad olio su tela risalgono a quando Mauro frequentava le scuole elementari), in seguito ha frequentato prima il Liceo Artistico e poi Scenografia all’Accademia di Belle Arti. Un artista fuori dagli schemi, da sempre impegnato nel perseguire una strada tutta sua, ossessionato da una personale ricerca di sintesi.
La carriera artistica di Mauro Pavan decolla quando incontra il maestro Luciano Beretta nei primi anni ’80.
Il maestro milanese (paroliere, primo ballerino alla Scala, showman e artista famoso per i suoi collage), si prese cura del giovane ancora fresco di scuola. Per cinque anni il maestro spianò la strada al giovane allievo avviandolo alle sue prime esposizioni personali, il tutto sotto la sua guida e protezione. In cambio, il maestro chiese al giovane Mauro un impegno fuori dal comune, tanto, tanto lavoro, in cambio di tanti suggerimenti preziosi che il maestro, un po’ alla volta, gli somministrava con meticolosa cura.
Il 26 giugno 1981 il maestro Luciano Beretta, in occasione della prima personale, scrisse: “Mauro fa la guerra con le matite e i pennelli, sicuro di vincere con intelligente prepotenza la sua battaglia… una vittoria conquistata con amore e arte e tanta umiltà! Vederlo lavorare è un piacere: Con sicurezza, senza ripensamenti disegna a “spada tratta” con virtuosa abilità, padronanza di prospettiva e tanta inventiva, ma non sbrodola croste, non propone copie dal vero, non fotografa… lascia in ogni suo lavoro la sua impronta e dice qualcosa di nuovo. …più di un papà! Luciano Beretta”. Da famoso e raffinato scrittore e paroliere (suoi i testi di Il problema più importante, Il ragazzo della via Gluck, Nessuno mi può giudicare, Chi non lavora non fa l’amore, e tantissimi altri successi della canzone italiana degli anni ’60 e ’70), nel 1986 Luciano Beretta scrisse una straordinaria poesia per Mauro Pavan in occasione dell’ultima personale da lui organizzata per il giovane artista: “I colori della notte ti sono sbocciati dalle lacrime dell’adolescenza, ma la forza era di essere diverso dai soliti calciatori di pallone! Le ore, ora, seguono i tuoi successi nella stima delle persone e di chi ti sta vicino. Pittore Mauro, leggimi la tua tavolozza e intingi se hai bisogno di cielo, il pennello nel mio cuore”.
E ancora, sempre in occasione di quest’ultima personale presso la Palazzina Ex Finanza di Peschiera del Garda: “E’ certa la maturazione, artistica, dell’uva acerba che si fa vino buono! Un coraggio, con angeli custodi che sono i tuoi insegnanti all’Accademia, un binario che corre in direzione del Sole, verso il tuo “Io” infinito mai raggiunto. Per ora, per oggi, Sì! Raggiunto in pieno”.
Mauro Pavan è ancora molto legato ai ricordi di quel periodo artistico e affettivo molto intenso, fondamentale per la sua formazione, per il suo futuro. Un periodo trascorso nei panni dell’allievo, per questo, ancora oggi e giustamente, Mauro non perde mai l’occasione di nominare e ringraziare di cuore il suo grande maestro Luciano Beretta.
Da allora, tra mille ostacoli e difficoltà esistenziali, ha sviluppato un’arte che distingue il suo carattere creativo. Oggi, Mauro Pavan è senza dubbio un maestro d’arte dalla modalità artistica autentica e innovatrice nel linguaggio pittorico internazionale. L’artista affronta inoltre il mondo della psicanalisi, l’introspezione che proviene dall’inconscio e dai sogni del suo vissuto, senza mai perdere di vista il sociale. La sua è una ricerca sofferta e intelligente, sempre in movimento e costellata di continue sorprese. Al di là di qualsiasi altra cosa si possa raccontare, Mauro Pavan sa addomesticare i colori come pochi e con i colori ci gioca e si diverte.
Hanno scritto di lui:
2009 – Claudio Marchese filosofo e scrittore e Riccardo Di Salvo scrittore: “…siamo entrati nell’universo di Mauro Pavan, recentemente visto in contemporanea a Milano e a Torino. La pittura visualizza emozioni che vengono dal profondo. Le rappresenta secondo un codice che può essere figurativo o astratto. Pavan segna un’eccezione. Rappresenta per mezzo di una figura l’invisibile mondo del desiderio, del sogno, dell’eros. Come tutti i pittori visionari, Pavan raffigura il corpo per far vedere l’anima. Corpo a volte carnale fino all’eccesso, orgiastico nella sua voglia di esplodere. Corpo a volte privo di carne, ridotto a teschio. Le visioni sono il frutto del desiderio delirante. Pensiamo a tutti quelli che hanno goduto a esporsi allo sguardo di Dio o allo sguardo di folli voyeur . In entrambi i casi è un’unica potenza che guida sia i mistici che i libertini. Pavan, erede dei pittori maledetti, vede oltre il visibile. Pavan è senza dubbio l’ultimo maledetto di una stagione inaugurata da Van Gogh e destinata a entrare nel panorama del terzo millennio.
2018 – Michele Signorelli critico e storico dell’arte: ”Come sempre, Mauro Pavan gioca attraverso i secoli: prende, verrebbe da dire fisicamente, temi e convenzioni cari alla storia dell’arte e li modella, li plasma, li trasforma secondo le proprie esigenze espressive. L’arte di Pavan, così ricca di riferimenti e rimandi alla storia dell’arte, non può che dare accesso a chiavi di lettura molteplici. Anche lo sfondo non è un semplice sfondo, ma è accurata scelta espressiva. L’attenzione al dettaglio e al particolare è cifra stilistica di Pavan. L’occhio si perde in questa ricca stratificazione di piani e di rette che si intersecano senza fine e può scendere in profondità pur rimanendo in un mondo bidimensionale. Pavan torna indietro nel tempo senza muoversi dalla modernità”.
2018 – Paolo Levi critico d’arte, giornalista e saggista: “Trasformando il colore in arte astratta la cui intensità di suggestione non esclude l’apertura di un varco verso la libertà espressiva e la raffinatezza cromatica, l’artista Mauro Pavan nutre delle predilezioni: utilizza tinte vibranti, cariche di luce intensa e un disegno preciso e geometrico, come la migliore scuola dell’astrattismo geometrico insegna. La mirabile esecuzione rivela la mano decisa e una fantasia creativa che si scatenano con effetti di estrema bellezza”.
2018 – Sandro Serradifalco editore Art Now di Palermo e critico d’arte : “Sensibilità compositiva ed estro creativo sono dimostrazione di un raro talento. Il mio sincero plauso a un artista capace di stupire valorizzando la tradizione compositiva italiana”.
2019 – Giorgio Falossi editore Il Quadrato di Milano e critico d’arte: “Una pittura dall’intenso sapore sociale e filosofico, Mauro Pavan non vuole troncare del tutto i rapporti con la realtà, ma la vuole idealizzare a suo uso e consumo. Ci sono delle opere dove questa realtà ha un cuore o diventa un incubo, ma poi c’è un deciso spostamento verso una vita ideale, dove la crudezza della figura lascia il posto allo spirito, alla felicità della luce cromatica e sgorgante da una sorgente illuminante”.
2019 – Roberto Villa fotografo di fama internazionale, amico di Pier Paolo Pasolini e Dario Fo: ” La pittura di Mauro Pavan è una pittura acrobatica che ingloba, senza legarvisi, molte correnti della storia dell’arte: l’informale, il geometrico, l’astratto, il pop, il neo figurativo, e qui ci si può fermare poiché, come per la poesia, e per omologia, dovremmo ideare una definizione, quella di “pittura ermetica”. …il pittore da semplice generatore di immagini, cioè da genitore, deve diventare padre, e padre a se stesso, superando la concezione di allievo per accedere a quella di Maestro genitore e padre della sua opera d’arte. Questo appare essere il progetto pittorico, e non solo, che Mauro Pavan, non senza successo, persegue”.
2020 – Vittorio Sgarbi critico e storico dell’arte: “…Ciò che negli anni non è mai cambiato, e che è anzi segno distintivo del lavoro di Mauro Pavan, è il connubio di colore e luce, quella luce che tanto lo affascina del Caravaggio e che modula tra le trame delle sue linee creando equilibri sferzati a volte da tagli dinamici. La sua è una continua ricerca, una profonda riflessione intimista volta ad un costante migliorarsi, che si avvale sempre di una tavolozza vivace e brillante. …Nella poetica astratta e luminosa di Mauro Pavan c’è il racconto di un’anima travagliata che emerge soprattutto nella narrazione in cui l’artista descrive con minuzia il percorso e i momenti che hanno portato alla creazione di ogni sua opera, sempre collegata personalmente alla vita dell’artista, che non nasconde i particolari di quei traumi e rotture passati che sono lo stimolo più impellente per riuscire a trovare un rifugio sicuro dagli incagli della vita”.
2020 – Flavia Sagnelli avvocato e curatrice d’arte: “Stilisticamente impeccabile e riconoscibile, Mauro Pavan porta l’astrattismo geometrico ad un livello avanzato, contemporaneo, ove le geometrie creano tridimensionalità, si incontrano, si regalano reciprocamente prospettive e movimento. L’artista utlizza il colore in maniera impeccabile: preciso e minuzioso nei piccoli dettagli, senza sbavature, come se avesse un laser al posto del pennello. Con intensità, vivacità e potenza le linee dipinte da Pavan giocano a fare coloratissime acrobazie sulla tela, sorprendono ed ipnotizzano. Raffinato ed intenso.
2020 – Giorgio Falossi editore Il Quadrato di Milano e critico d’arte:”…Per quanto riguarda il Tintoretto “che fa sangue” è certo un artista eccelso, grande interprete dei suoi tempi, così come si conviene all’arte. Lei ama questo artista e me lo trascina sino a Pollock, perché ha qualcosa dell’artista Pavan o l’artista e uomo Pavan ha qualcosa del Tintoretto. Scrivo così perché essere artisti, oltre i soliti cliché, credo sia anche qualcosa di personale. Mauro Pavan è un artista. Per questo è un biografo di se stesso. La sua pittura è il suo mondo, quel mondo che gli ribolle dentro, quel mondo di cui lui conosce la verità, o tale la ritiene, una verità psicologica che ritrova nella pittura l’occasione di una appassionata confessione, una verità che lo fa scontrare con l’esterno. Un raffronto questo da cui vorrebbe uscire vincitore. Mi sembra questo giusto e lodevole ma forse poco redditizio per i tempi moderni in cui viviamo. Non è un compito facile oggi perché filosofare non è considerato buon investimento. Sicuramente Mauro Pavan è un innovatore, un artista innovatore così come si vuole oggi. Ma oggi è difficile essere apprezzati perché l’innovatore fa saltare le abitudini, fonda propri codici di comportamento, spinge il pensiero. Nel migliore dei casi diviene un artista ma anche un sognatore. Ed il mondo non ti apprezza e ti travisa. Caro Pavan lei come artista si è scelto una vita difficile…”.
2020 – Giorgio Falossi Mauro Pavan agisce sulla geometria del segno realizzando composizioni in dinamico movimento. Composizioni che sollecitano e sezionano pennellate e colori su scorrevoli binari. Si creano profondità, fonti luminose e dalle quali possa giungere sino allo spettatore l’idea della conquista, il piacere di una sorgente capace di trafiggere, quindi di punire, ma anche di dare gioia per una sensazione ricevuta in grado soddisfacente. C’è la luce di Caravaggio, quella tagliente e distinta che si scontra con il buio sino a diventare fuoco di redenzione. La ricerca dell’uomo o dell’anima attraverso l’arte. La pittura diviene esponente rigida dei sentimenti a delle meditazioni, diviene ricerca affannosa di un chiaroscuro sull’umanità, una umanità fatta di singole persone ognuna con il suo fardello di vizi e di colpe. Nel labirinto dei segni la luce si unisce al colore “vere e proprie sciabolate” generando una filtrazione inconfondibile, una fulminazione di memorie e di gesti, con il piacere di controllare la mente e la natura, le vene del cielo e i frutti delle stelle. Un lungo lavoro di ricerca svolto con metodo e perizia da Mauro Pavan, con esiti spesso seducenti, sempre affascinanti, nell’apertura ai contenuti più attuali dell’arte contemporanea.
2020 – Giorgio Falossi a seguito della pubblicazione di Mauro Pavan sul volume Raffaello500 uscito per Il Quadrato di Milano: Caro Pavan. Mi considero un suo vecchio amico e il mio piacere maggiore sarebbe di poter passare con lei il tempo di un lungo pranzo. A tavola, dove gli umori si affinano, dove i pensieri si rilassano, dove il sorriso apre a maggiori disponibilità. Dopo la pandemia. Ormai siamo in fondo. Mi considero un suo vecchio amico, ma anche ammiratore della sua espressione artistica, per la sua forza interiore, per la sua capacità risolutiva, per la sua ricerca, spasmodica, intensa, acuta, oltre.
Un cordiale saluto. Giorgio Falossi.
25 dicembre 2020 – Giorgio Falossi Una pittura quella di Mauro Pavan che vede il taglio di Fontana sostituito dalla persona, le bambole a rocchetto di Campigli sostituite dalla persona, la merda d’artista di Manzoni sostituita dalla persona, il cavallo galoppante di De Chirico sostituito dalla persona e via così dicendo, gli esempi ci sono. Questa persona, questa figura, centro di attenzione del suo operare, deve avere una sua incisiva motivazione o suggerire un messaggio o richiamare momenti storici o sublimare una ideologia, sollecitare una speranza o rappresentare un gruppo sociale. E questa figura inserita in un intrecciarsi di geometrie deve essere portatrice di un messaggio, di una idea o ideologia, di una filosofia, di un nuovo quanto rivoluzionario intendimento dell’attuale società. Sarà così facile superare qualsiasi ostacolo mercantilistico per una larga diffusione se quel personaggio rappresenta qualcosa per la maggioranza degli uomini. Le faccio una domanda: questo suo punto luce illumina qualcosa che interessa oltre me un paio di miliardi di persone? Se si, è un’opera d’arte. Lei lo sa. L’arte non è facile. Lei lo sa e ce la mette tutta. Bisogna farsi accompagnare da una dottrina, da una idea, da una fantasia capace di essere compresa e illuminare di speranza questa nostra attuale società disorientata ed impaurita. Oggi è Natale. Non ci aggiungo la fede perché lei ne ha già molta in se stesso. Anche quella serve. Con stima. Giorgio Falossi.
28 dicembre 2020 – Paolo Levi – Critico d’arte –
Mauro Pavan rivela ottimo talento, ironia e sapienza. In questo contesto e tramite una scrittura molto chiara ci fa dono di un’intelligente analisi sul ruolo dell’artista, per altro senza citare questo lavoro di lirica astrazione dove si materializza il suo universo poetico. Nella parte centrale l’opera rimanda – alla lontana – al sapore interrogante di un certo surrealismo del secondo Novecento, con il valore aggiunto e indispensabile di una stesura cromatica limpida e di una perfetta calibratura spaziale fra il fondo rosso atonale e le forme figuralmente allusive che lo popolano.
2021 – Giorgio Falossi: Caro Maestro Pavan. La sua è una pittura piena di significati. Carica di tensioni e di messaggi. Una pittura da interpretare con prudenza e da sorvegliare fra le sue corde misteriose. La pittura di Mauro Pavan incontra il Virus, ed è il Virus che ne esce sconfitto. Di tutti questi Virus che per secoli hanno infierito non rimane niente se non le rappresentazioni in arte. Il virus è alla stregua di un modesto mezzo che l’artista ha usato per rendersi immortale. E’ l’Arte che insegna. E’ l’Arte che rimane. Alcuni imparano ed imprimono il loro pensiero, le loro sensazioni, il loro essere umanità chiamata in causa. La maggioranza naufraga nella paura-inettitudine o nella banale-incapacità. Ecco ancora la selezione. Il mondo per pochi. Il virus cavalcato. Il risultato dell’artista.
Così come oggi leggiamo la storia tramite il Tintoretto che con il suo “San Rocco risana gli appestati” ci manda un ampio segnale cinquecentesco, domani, è il mio augurio, i nipoti dei nipoti dei nipoti, ammireranno l’opera di Mauro Pavan, cercando di capire il vero senso della vita del tempo XXI secolo, così penetrante, così bene espressa. Il resto, egregio Pavan, sono cose del quotidiano Italia. Piccoli sotterfugi, falsi moralisti, mercanti mediocri, qualche ladro, molti incapaci. Noi invece, guardiamo in faccia diretta questo portatore di morte, che è nato a causa della demenza umana, e con l’arte lo rendiamo immortale.
2021 – Giorgio Falossi: …Caro Pavan. Mi sembra di sentire una certa rassegnazione nell’ultima tua risposta. “Più o meno”, non mi sembra una frase degna di Mauro Pavan. Quello che conosco. Che vive di certezze, non importa quali e come. Certezza ed Arte per la vita, certezza è qualcosa di misteriosamente vero. Certezza è la tua Arte che si congiunge con la vita.
Diciamo pure che a noi del vaccino non ce ne frega un gran che. Visto come vanno le cose aspetto che il gregge si vaccini e poi vedrò di unirmi al coro. In questo paese lo so, troppe cose non vanno nel senso giusto, ma…. I raccomandati hanno fatto il vaccino abusando della loro posizione, ma, loro, i raccomandati, non sanno che fra 18 o massimo 24 mesi la peste cesserà automaticamente e quindi il loro atto di sopraffazione avrà ancora meno senso. (Anch’io ho il mio credo di certezze).
Il lavoro dell’uomo è sempre fatica, anche se è fatto con la passione che tu ci metti, il lavoro dell’artista è spesso un tardivo riconoscimento anche se il merito c’è. C’è anche la fatica di saper attendere il momento giusto. Vedrai che arriverà.
Mai abbassare la guardia, mai rassegnarsi, mai credersi inferiori, mai venire dopo. Con stima. Giorgio Falossi.
17 agosto 2021 – Davide Cariani medico e collezionista di arte contemporanea storicizzata: “Che bellissima sorpresa Mauro, tu mi sorprendi sempre! Ti ringrazio per la considerazione che nutri nei miei confronti anche se non penso di essere all’altezza di quello che vai dicendo sulle mie competenze artistiche. Lascia però che ti dica sinceramente che condivido quello che dici, e quello che vedo in questo tuo lavoro “Silenzio 21/5”. Sempre di più si palesa la tua impronta e quello che appartiene alla tua anima. Un minimalismo colorato, l’essenza del tratto che contrasta con una moltitudine di sentimenti. Questo è Mauro! Un vulcano silenzioso che si sta preparando a stupire ancora; a eruttare il suo IO”.
Il dott. Cariani è un amico ormai, un uomo semplice e genuino, ma dirompente quando vuole farmi capire cosa si intende per arrivare a fare grandi cose cercando di dire tutto con poco. Io adoro e stimo che mi parla in questo modo.
16 novembre 2021 – Giorgio Falossi: Caro Mauro, mi piace molto il concetto dell’arte come vita e proprio per questo che l’arte, la tua arte deve essere vista e conosciuta. Non comprata, non venduta, non commercializzata. Deve essere esposta, discussa, processata. L’arte come megafono storico della vita dell’uomo. Così è stato per molti secoli. Poi altri mezzi sono intervenuti: foto, televisione, internet, stampa ed altro. Oggi la diffusione è molto ampia e anche certe finalità si sono attenuate o svanite. E’ l’arte è anche commercio, investimento, così come è godimento, è sacralità ed anche potere e piacere. Questo è l’arte intesa come quadro, come oggetto. Poi c’è l’artista che non è come l’oggetto artistico, ma un esecutore, che non ha diritto ad avere molte qualità, se non quello di creatore. E creare vuol dire dare vita, vuol dire vedere oltre, vuol dire avvicinarsi ed uguagliare il grande e il meglio dell’universo.
Vuol dire avvicinarsi a Dio.
Guardo i tuoi lavori. La perfetta orchestrazione delle singole parti rispecchia l’armonia e il ritmo che l’artista Pavan persegue, dotando l’immagine e l’impalcatura geometrica di profonde finalità e di messaggi che sono dati soprattutto dai significati che questa molteplicità di visione innesca. L’artista non ha segreti. Ma ogni sua linea ha un senso di profonda inquietudine. E’ un messaggio gridato per far comprendere che al centro dell’universo c’è l’artista. Le linee, gli occhi, le pose, i colori, le maschere sono espressioni sottili e veementi dell’anima che sottolineano evocazioni di turbamenti, estasi e commozioni. Le geometrie e i percorsi nel labirinto non sono semplici orpelli di rappresentanza ma momentii interiori, verità profonde, che sorgono da un processo di ricerca e di ricreazione di se stessi e per se stessi. Questo è l’artista Mauro Pavan che è ma non sa di esserlo, questo è l’uomo Mauro Pavan che non è ma vorrebbe essere. Spero di non aver “sconfinato”. Saluti. Giorgio Falossi.
2022 – Vittorio Sgarbi, tratto da “I Narratori del Nostro Tempo”: “C’è in Mauro Pavan una sensisibilità primaria che da un lato vuole la forma astratta, dall’altro lato intende il sentimento e lo spirito della tradizione veneta. Per cui guardarlo rassicura sul fatto che tradizione e innovazione possono convivere”.
Web: www.pavanart.com
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